Mendicare con licenza: la questua nel Quattrocento
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Nel Quattrocento la povertà era parte della vita urbana. Ma anche l’elemosina non era lasciata al caso: per chiedere aiuto occorreva spesso un permesso ufficiale.
In molte città italiane del XV secolo i mendicanti non potevano muoversi liberamente, ma erano soggetti a regole e controlli stabiliti da magistrature civiche ed enti ecclesiastici [1].
Come si otteneva il permesso di questua
Il diritto di chiedere elemosina si legittimava con una licenza o patente di questua, rilasciata da un’autorità riconosciuta:
- Civile, come la Balìa di Siena, il podestà o il consiglio cittadino a Bologna [2].
- Ecclesiastica, come il vescovo o il capitolo della cattedrale, spesso in accordo con il Comune [3].
Per ottenerla, il questuante doveva dimostrare di essere un “povero vero” (vecchio, malato, orfano) oppure far parte di un’istituzione riconosciuta (ospedale, confraternita, ordine mendicante). La licenza specificava chi poteva chiedere, dove e per quanto tempo [4].
Norme di comportamento
Chi otteneva la licenza doveva rispettare regole precise:
- non poteva molestare i fedeli davanti alle chiese,
- non poteva sostare in piazze o mercati senza autorizzazione,
- era vietato fingere malattie per suscitare pietà.
Lo satuto di Bologna del 1454 recita:
“Nullus mendicus fingat se esse caecum, claudum vel aliter debilitatus ut elemosinam facilius accipiat…” [5]
(“Nessun mendicante finga di essere cieco, zoppo o diversamente infermo per ottenere più facilmente l’elemosina…”).
Il permesso era dunque una sorta di “contratto morale”: garantiva al mendicante un diritto, ma ne fissava anche i doveri [6].
Sanzioni
Chi mendicava senza permesso rischiava multe, la confisca del denaro raccolto, l’espulsione dalla città e, nei casi più gravi, persino il carcere [7].
Come si vestivano i mendicanti nel Quattrocento
Le fonti coeve, statuti, cronache, registri ospedalieri – li descrivono spesso in termini fortemente visivi.
- Stracci e panni logori: “pauperes in pannis laceratis et sordidis” [8].
- Scarpe rotte o assenti: molti cronisti notano i piedi nudi come segno di miseria [9].
- Segni distintivi: a volte il Comune dava un sacchetto sigillato al questuante autorizzato [10].
- Vesti donate dagli ospedali: nei registri degli ospitali come quello dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze si trovano spese “per vestiario e calzature” [11].
L’abito quindi non era solo un segno esteriore di miseria, ma anche uno strumento di controllo sociale: chi era troppo malridotto poteva essere allontanato dalle porte delle chiese, mentre chi era accolto e vestito da un ospedale mostrava la protezione di un’istituzione riconosciuta [12].
Bibliografia
1.M. Vallerani, Il sistema giudiziario nel Comune di Bologna, Bologna, 1991.
2.G.G. Orlandi (a cura di), Statuti del Comune di Bologna, varie redazioni XIV–XV sec.
3.P. de Angelis, L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia, Roma, 1960–62.
4.A. Rigon, “Poveri e assistenza a Bologna nel Medioevo”, in vari saggi, anni ’90–2000.
5.Statuti di Bologna, cap. su mendici et vagabundi, ed. Orlandi.
6.A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano, 1305–1964, Milano, Giuffrè, 1966.
7.Statuti della Repubblica Fiorentina del 1415, edizione moderna.
8.G. Piccinni – L. Travaini, Il Libro del pellegrino (Siena, 1382–1446), Napoli, Liguori, 2003.
9.L. Sandri, Le finanze dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze dalla fondazione alla bancarotta del 1579, in La bellezza come terapia, Firenze, Polistampa, 2005.
10.A. Rehberg, “Nuntii, questuarii, falsarii: l’ospedale di S. Spirito…”, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 1999.
11.P. Egidi (ed.), Necrologi e libri affini della provincia romana, Roma 1908–14.
12.L. Banchi (ed.), Statuti volgari dell’Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena (XVsec), Siena, 1864.
Mendicare con licenza: la questua nel Quattrocento
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